Legami indissolubili

Lo ricordo ancora molto bene il momento in cui mi venne l’idea per scrivere questo

racconto. Era sabato mattina, una mattina d’estate in cui il cielo era talmente limpido da

potercisi specchiare. Ero seduto su una panchina di un giardino aspettando che il

portone della biblioteca si aprisse. In anticipo di pochi minuti, decisi di godermi quel

raro momento di pace ed ecco che… vi lascio al mio racconto:

 

“Legami indissolubili”

 

Aspettando che il portone si aprisse, seduto su una panchina in compagnia di una decina di persone che non avevo mai visto prima, mi godevo quei primi colori di un’estate che il giardino prospiciente la biblioteca lasciava esplodere con una forza devastante. Ricordo che non avevo alcuna fretta e che ero in largo anticipo, ma andava bene così: odio uscire di casa quando il sole ha già bruciato con la sua irruenza tipica di questa stagione il poco fresco che la sera riesce a consegnarci. Finalmente ero in vacanza e come prima cosa volevo scegliere un buon libro che mi facesse compagnia e mi allontanasse dalla pesante realtà che ultimamente sopportavo a fatica.

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Certo, non avrei mai potuto immaginare dove mi avrebbe portato la curiosità, stuzzicata dai fatti che sto per narrarvi.

L’addetto della biblioteca infilò la chiave nella toppa del portone sgangherato proprio mentre il campanile scandiva in un eco lontana le 9.30.

«Puntualissimo come sempre.» pensai

Lasciai passare chi aveva fretta e mi diressi nell’ala più a nord di quel vecchio edificio, dove sapevo che avrei trovato pane per i miei denti. Il bibliotecario che ormai mi conosceva bene, mi sorrise e lasciò che mi addentrassi in quel labirinto di scaffali su cui erano accatastati in modo più o meno ordinato i libri che raccontavano le storie più disparate, ma che avevano come denominatore comune quello di essere stati abbandonati. Non so per quale ragione, ma questo particolare mi intrigava e mi portava a ritrovarmi sempre fra queste strette corsie, alla ricerca di chissà quale segreto. In quel luogo polveroso e poco illuminato, mi perdevo nei meandri delle immagini che la mia mente proiettava ogniqualvolta leggevo le poche righe di una trama o di una poesia e riuscivo sempre a isolarmi dal mondo, ma non quella volta.

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Non ricordo il titolo del libro che avevo per le mani, o forse non l’avevo neanche letto, ciò di cui sono certo invece, è che lo annusai e restai alcuni istanti a scorrere quelle pagine ingiallite dal tempo e dall’umidità. Mentre cercavo di immaginare chi potesse averlo abbandonato, venni distratto da un tonfo che mi fece trasalire. Il silenzio che abitualmente regnava in quel luogo non ammetteva eccezioni e quel rumore sordo non poté che amplificarsi nella mia mente rendendomi curioso. Appoggiai il libro che stavo maneggiando e mi sporsi nella corsia parallela, ma non vidi nessuno. «Eppure quel rumore proveniva da questa parte» pensai e muovendomi in quella direzione, feci un passo, forse due e urtai qualcosa con un piede. Era un libro per bambini, un’edizione che non ricordavo neanche che esistesse. Mi piegai e lo raccolsi e subito un foglio uscì da quel libro infilandosi sotto lo scaffale. Non sembrava parte integrante del libro, pareva più che altro qualcosa che era stato dimenticato al suo interno. La mia fantasia cominciò come sempre a galoppare e non potei far altro che piegarmi e carponi recuperare fra polvere e muffa quel foglio che scoprii essere un ritaglio di giornale. Risaliva a vent’anni prima, la data era leggibile, non ci si poteva sbagliare. Era un articolo di cronaca nera che raccontava del suicidio di Lucia, un caso straziante che ricordavo perché ne aveva parlato tutto il paese, ma soprattutto perché proprio poco tempo prima mi era capitato di incontrarla fuori dall’asilo di mia figlia. Ricordo che era impaurita, sembrava nascondersi da qualcosa.

«Si sente bene signora?» la mia domanda cadde nel vuoto perché Lucia, presa com’era dai suoi pensieri, non mi udì.

«Signora le serve qualcosa?» tornai a domandare preoccupato. Il suo sguardo visibilmente turbato, lambì il mio trasmettendomi un’angoscia che ancora riesco a percepire sulla pelle. Parve sul punto di chiedermi aiuto, ma subito indietreggiò e scappò via.

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L’articolo che avevo fra le mani parlava anche di Ambra, la figlia di Lucia, che a soli quattro anni perdeva la mamma. Ma quello che più attirò la mia attenzione, fu la scritta in blu a margine dell’articolo, scarabocchiata in uno stampatello stentato al punto che feci fatica a leggere:

«Ambra cerca la verità…»

Poco più in basso, c’era un codice alfanumerico di 12 caratteri, mentre la data di nascita di Ambra riportata nella cronaca del suicidio era stata cerchiata sempre con la penna blu. Restai alcuni istanti a fantasticare pensando alla situazione assurda che stavo vivendo. Pareva quasi che quel libro, quella scritta e la storia che celava mi stessero aspettando o forse era proprio così. Decisi di andarmene, non prima di aver preso in prestito il libro e infilato l’articolo nella tasca dei miei jeans.

«Ciao Alberto, solo uno oggi?» chiese l’addetto al prestito abituato a vedermi uscire sommerso dai libri.

«Mi sono accorto solo ora che sono in ritardo, devo scappare»

La curiosità mi stava divorando; mi incamminai verso l’uscita. Vicino al portone spalancato trovai la mia bicicletta appoggiata al muro dove l’avevo lasciata poco prima, aprii il lucchetto e mi diressi verso casa. L’aria tendeva già a essere più rarefatta e pesante e il sole scaldava la mia pelle facendomi arrancare su quei pedali che spingevo con forza, come se dietro la porta di casa ci fosse la risposta ai tanti perché che sgomitavano nella mia mente.

Abbandonata la bicicletta sul vialetto d’ingresso, noncurante del solito vicino impiccione che sottolineava con uno sguardo severo la mia piccola infrazione, salii i pochi scalini che portavano al primo pianerottolo e girata con forza la chiave nella toppa, entrai in casa.

Sul tavolo della cucina trovai i resti della mia fugace colazione consumata in totale solitudine mentre ancora in casa tutti dormivano. Anche se il silenzio e la penombra che mi avvolgevano non davano certo adito a dubbi, girai circospetto per la casa per sincerarmi di poter restare solo e di non essere disturbato da nessuno:

«Dormono ancora tutti, tanto meglio» mormorai osservando con tenerezza mia moglie e i miei figli nei loro letti.

Decisi di approfittare di quel momento di calma apparente in cui neanche il gatto raggomitolato sulla poltrona si occupava di me, per rassettare frettolosamente la cucina e occuparmi dell’’articolo che volevo rileggere con calma, per permettere ai dettagli di quella storia lontana di tornare a galla:

Ambra era stata data in affido dopo che Lucia, stanca di subire in silenzio violenze dal compagno alcoolizzato, aveva tentato una prima volta il suicidio. Dopo aver perso la figlia, Lucia era entrata in una crisi senza uscita e al secondo tentativo era riuscita nel suo intento. I fatti che leggevo e che mai prima d’allora avevo voluto approfondire spiegavano l’angoscia dipinta nei suoi occhi in occasione di quel fugace incontro in cui Lucia probabilmente stava rubando attimi di vita della figlia strappata per colpe che non aveva commesso. Ambra era ormai una ragazza di 24 anni che viveva con quella famiglia che l’aveva accolta come una figlia. Non si vedeva spesso in paese, era schiva e riservata come la madre a cui assomigliava sempre più.

Fissavo l’articolo e quella frase scritta in blu chiedendomi chi potesse averla scritta. La mia testa era già arrivata a una conclusione che cercavo in tutti i modi di reprimere perché scomoda e difficile da accettare. Lasciai che le mie idee vagassero libere senza che avessero per forza un senso, una dimensione.

La notte trascorse tranquilla, ma l’indomani all’alba ero già sveglio.

Dopo aver condiviso la colazione e le prime ore del mattino con la mia famiglia, con la scusa di alcune faccende da sbrigare inforcai la bicicletta e mi recai in biblioteca per svolgere delle ricerche. Quello che scoprii fu sorprendente.

Un codice di quel genere poteva essere una password di accesso per cassette di sicurezza a cui naturalmente andavano abbinati altri due codici, uno numerico e l’altro alfabetico, che impedissero a chiunque fosse entrato erroneamente in possesso di uno dei codici di accedere alla cassetta. A questo punto la curiosità prese il sopravvento sulla ragione. Non avevo idea di quale fosse lo strano disegno del destino, né se questa storia avesse del paranormale o meno, ma l’unica cosa certa era che per ben due volte il fato mi aveva messo sulla strada di Lucia che ora pareva aver accettato quella mia lontana proposta di aiuto. Fu così che non persi tempo e mi recai alla più vicina banca che avesse la disponibilità delle cassette di sicurezza. Diciamo che andai quasi a colpo sicuro perché da quello che ricordavo, Lucia non aveva un auto, quindi non poteva spostarsi di molto dal paese. In quella banca venni messo nella condizione di accedere alle cassette di sicurezza solo a patto che ne avessi i requisiti. Inserii il codice alfanumerico sotto gli occhi perplessi dell’addetto al controllo. Dopo alcuni secondi si accese una luce verde sul display che avevo di fronte: avevo fatto centro, la cassetta era davvero custodita in quella banca.

«Il codice è corretto, ora deve inserire le due password, le ricorda?»

«Certo che le ricordo!» ribattei a quell’insinuazione che mi fece sentire un ladro e dopo aver dato ancora un’occhiata veloce al ritaglio di giornale, trattenni il fiato e digitai:

Ambra

050971

ossia la data di nascita cerchiata in penna blu. Alcuni istanti e lo sportello si aprì. All’interno un diario, null’altro.

Qualche ora dopo, davanti alla casa in cui Ambra viveva con la famiglia adottiva, cercavo il coraggio per suonare a quel campanello. Non fu facile, ma lo trovai. Dopo alcuni istanti la porta lentamente si aprì. Subito i capelli ramati di Ambra e le poche lentiggini che sporcavano irregolarmente il volto tondo e pallido, ricondussero a me le immagini sbiadite di quel giorno in cui incontrai gli occhi persi e spaventati di Lucia. Era incredibile quanto le somigliasse. Ambra vedendomi accennò un sorriso in cui trovai la forza per parlare:

«Ho un messaggio per te da parte di Lucia, tua madre»

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Il sorriso lentamente morì sul volto di Ambra che mi guardò smarrita e incredula. Feci per porgerle quel ritaglio di giornale che avevo fra le mani per farle leggere la frase che mi aveva portato fin lì, quando Ambra mi fermò:

«Vattene per favore, non voglio nulla da quell’egoista»

I suoi occhi che ancora riflettevano le immagini della sofferenza patita, mi trafissero come lame, ma non placarono il mio bisogno di dar giustizia a quella donna.

«Non è come credi Ambra, tua madre ti ha sempre protetta, ti ha sempre amata»

«Era un’alcoolizzata, come mio padre. Dopo l’affidamento non mi ha più cercata»

«Non è vero Ambra, è tutto scritto qui. Ho incontrato tua madre una mattina mentre ti osservava dal cancello dell’asilo e ora è tornata a cercarti. Non mi chiedere come sia possibile, alcune cose semplicemente accadono e basta, anche se non riusciamo a dar loro un senso. Questo è il suo diario in cui ogni giorno ha raccontato di te e della sofferenza per averti perso, mentre questa è la sua richiesta d’aiuto. L’ha scritta sull’articolo apparso sui giornali dopo il suicidio. Non so come sia possibile, ma la calligrafia è la medesima.»

Nel momento stesso in cui aprii il libro di fiabe per bambini per porgerle l’articolo, l’espressione di Ambra cambiò totalmente. Sgranò gli occhi e sbiancò. L’emozione le impedì quasi di parlare:

«E questo dove l’hai trovato? Dammelo!» Ambra lo strappò dalle mie mani e mentre le raccontavo di come fosse stato lui a trovare me, scoppiò in un pianto in cui era racchiusa la rabbia e la sofferenza di quella bambina ormai divenuta donna.

«Non è possibile, l’ho abbandonato io stessa all’ingresso della biblioteca. Non lo volevo vedere mai più, ma non ebbi il coraggio di distruggerlo perché in fondo lo amavo come amavo quel momento in cui, prima di dormire, mi leggeva una fiaba. Era un momento solo nostro, non lo volevo dividere con nessuno.»

Mentre Ambra parlava, guardando i suoi occhi scorgevo il riflesso finalmente sereno degli occhi di Lucia.

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