Ieri ho chiamato mio figlio: guardando una sua fotografia scattata al mare quando era bambino, ho provato un’emozione forte, mi è parso di udire in lontananza la sua voce confondersi col rumore del vento, col ruggito del mare; mi è parso di sentire l’odore della salsedine e di quelle giornate lontane. L’ho sentito scappar via da me per correre incontro al suo destino.
Ho deciso di chiamrlo.
Il telefono squillava libero. Nessuna risposta. Gli ho scritto un messaggio:
-Ciao Andrea Come stai? Ho voglia di vederti.-
Poco dopo Andrea risponde con un suo selfie e un messaggio ironico a cui rispondo fotografando e postando quella stessa fotografia.
-Che effetto ti fa?- gli chiedo.
-E’ una fotografia come tante, preferisco queste. –
Mi invia una serie di fotografie fatte col suo cellulare. Le scorro come spesso mi accade curiosando nella sua pagina Facebook e torno a chiedergli:
– Queste fotografie che effetto ti fanno?-
– Che effetto vuoi che mi facciano?- risponde -Alcune non ricordo neanche di averle scattate, ne ho talmente tante.-
-Peccato.-
-Peccato cosa papà?-
-Peccato perché le tue fotografie probabilmente non ingialliranno mai e verranno viste e condivise in continuazione, ma forse non porteranno con sé profumi, suoni e ricordi.-
Nessuna risposta da Andrea. Poi il suono che aspettavo e che mi fa sussultare. Andrea posta una fotografia e scrive:
-Questa è la mia preferita per il tramonto che abbiamo alle spalle e per il tuo abbraccio che ancora mi scalda. Ti voglio bene papà.-
Marco Conti